Antonio Baroni

Antonio Baroni, guida alpina di Sussia

Antonio Baroni

Il piccolo borgo di Sussia , distante un’ora di cammino dalla frazione Vetta a San Pellegrino, conta un solo abitante, che accoglie con gentilezza e sorrisi tutti coloro che son di passaggio nell’abitato. Quest’uomo è il pronipote della guida alpina Antonio Baroni, che nella seconda metà del 1800 divenne una leggenda tra gli alpinisti di tutta Italia, tanto che nel 1968 il rifugio al Brunone, al termine di una ristrutturazione, venne a lui dedicato.


Figlio di contadini e pastori, nasce nel 1833 proprio nella piccola Sussia, ereditando il modo di vivere tipico della zona: Antonio è boscaiolo, pastore e cacciatore, è in grado di procurarsi dalla natura tutto ciò che gli occorre per vivere in tranquillità. È proprio grazie a questo continuo contatto con la montagna che Baroni sviluppa le doti che lo porteranno ad essere tra i più importanti alpinisti dell’epoca, considerato capace di individuare in poco tempo la via più logica e semplice per raggiungere la vetta.
Memorabili sono già le prime salite con l’amico di sempre, Emilio Torri (di Calvenzano), tra cui spiccano le ascese al Monte Alben nel 1875 e all’ Arera e quella al Pizzo Coca, che li vide come i primi a raggiungere la vetta, Baroni costruisce quindi un omino di pietra, sotto il quale Torri deposita il proprio biglietto da visita.



Antonio Baroni è considerato dai più la prima guida alpina bergamasca, tanto che nel 1879 accompagna la signora Fadini in quella che viene considerata la prima ascesa femminile al Pizzo del Diavolo di Tenda. L’impresa si ripete nuovamente quando nel 1882 porta a termine insieme ad alcuni clienti la prima salita in inverno. Negli anni successivi Baroni si impegna a completare tutte e quattro le vie di salita sulle creste che circondano il “Cervino Bergamasco”, lasciando segni del proprio passaggio ogni volta. 



Non si limitò solamente alle Orobie ma si spinse anche sulle principali vette delle Alpi, tra cui spiccano le ascese al Monte Rosa, Adamello e sulle cime dell’Ortles. Solamente nel 1902, all’ormai veneranda età di settanta anni Antonio decide di concludere la propria attività di guida alpina risalendo il Pizzo del Diavolo sulla via da lui aperta nel 1889, con una variante finale ben più difficile. Si chiudono così ben 50 anni di attività sulle nostre montagne.
Nello stesso anno durante una delle sue passeggiate nei boschi vicini alla propria casa Antonio riconobbe nella roccia un fossile, un piccolo pesce che probabilmente nei tempi antichi probabilmente popolava la zona: il Pholidophorus Caffi. Il nome venne dato dal fondatore del museo di scienze naturali di Bergamo, nativo proprio di San Pellegrino, al quale Baroni consegna il fossile ritrovato. Il pesce, di ridotte dimensioni, risulta tutt’ora essere l’unico esemplare mai rinvenuto.
Sussia custodisce dunque le gesta e imprese di questo eroe d’altri tempi, anche grazie ai racconti del pronipote, tramandati di generazione in generazione, ereditati insieme al grande amore che lega la famiglia al piccolo borgo, nel cuore di tutti gli abitanti di San Pellegrino e non solo.

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